Flaminia Cruciani
di Maurizio Cucchi
Alessandro Barbero
MATTIA FELTRI
Maurizio Maggiani
Friedrich Schiller
Plinio il giovane
Vittorio Sabadin
Maurizio Assalto
Nella trappola delle date ci casca anche Gesù nato ben prima dell’anno 0
L’entusiasmo scatenato sui media dalla supposta nuova datazione della tragedia di Pompei è piuttosto fuori luogo. Può anche darsi che i manoscritti medievali della lettera di Plinio il Giovane in cui l’eruzione del Vesuvio è datata al 24 agosto siano corrotti, e che la data originale fosse un’altra; ma a dimostrarlo non sarà certo l’iscrizione nella Casa del Giardino. Se un graffito su un muro è datato 17 ottobre – o meglio, XVI K Nov, cioè il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, secondo il grottesco sistema utilizzato dai romani per contare i giorni del mese – l’ipotesi più ovvia è che sia stato scritto nell’ottobre dell’anno precedente, o magari ancora prima. Che qualche esperto, contemplando questo graffito ancora perfettamente leggibile dopo duemila anni, dichiari seriamente che siccome le scritte a carboncino durano poco questa dev’essere stata scarabocchiata quasi sicuramente alla vigilia dell’eruzione, e non può risalire a dieci mesi prima, francamente fa ridere.
Ma è comunque una buona occasione per ragionare sulle trappole della datazione, almeno per quanto riguarda la storia antica. Che l’eruzione di Pompei sia avvenuta nel 79 d.C., è ovviamente una convenzione moderna: avvenne, invece, sotto il consolato di Vespasiano e Tito. I romani non contavano gli anni, ma preferivano dargli un nome, e non in modo ciclico come i cinesi, ma una volta per tutte, in un’unica serie. Era un sistema poco pratico; e sì che avrebbero avuto un sistema alternativo, contare gli anni dalla fondazione di Roma, eppure in tutti gli atti pubblici i romani si attenevano rigorosamente ai nomi dei consoli.
Nel 411 a Cartagine, che per un’ironia della sorte era rinata ed era la più grande città dell’Africa romana, si tenne un concilio in cui il clero cattolico, spalleggiato dal governo e dalla polizia, mise a tacere l’opposizione della setta rigorista dei Donatisti. Sant’Agostino, uno dei protagonisti del concilio, ricorda che a un certo punto si discuteva sulla priorità di due editti imperiali: era importante stabilire quale fosse il più antico, ma, dice Agostino, sul momento non avevamo sottomano il libro con l’elenco degli anni e dei consoli, e perciò non eravamo in grado di risolvere il problema!
Numerare gli anni in sequenza, a partire dalla nascita di Cristo o dall’Egira, è evidentemente più pratico. Ma i problemi non mancano neppure qui, a partire dalla domanda di fondo: quando è nato Cristo? Lasciando perdere il mitico anno zero, a cui molti tuttora credono, il nostro sistema si basa sul calcolo per cui Gesù sarebbe nato nell’anno 753 dalla fondazione di Roma; e quell’anno noi lo chiamiamo l’1 avanti Cristo. Ma il monaco Dionigi il Piccolo, che per primo fece questo calcolo nel VI secolo, dev’essersi sbagliato, anche se di poco: se davvero nacque sotto il regno di Erode il Grande, Gesù dev’essere venuto al mondo qualche anno prima. E perché? Ma perché lo storico ebreo Flavio Giuseppe assicura che Erode morì dopo un’eclissi di luna e prima della Pasqua del suo 35º anno di regno. Semplicissimo, come ognuno vede: basta consultare gli astronomi, gli epigrafisti e i numismatici per stabilire che si parla del gennaio del 3 a.C., e che quindi Gesù era nato prima.
Datare gli eventi della storia antica è un bellissimo gioco di pazienza, in cui può sempre spuntare una tessera nuova che rimette tutto in discussione, anche se il pubblico non lo immagina, e magari crede che ci sia da qualche parte una “storia ufficiale” in cui gli avvenimenti sono elencati e datati una volta per tutte.
[Numero: 147]