[Sommario - Numero 119]
Libertador
Matteo Franco - Illustratore e designer editoriale, nato a Roma nel 1988. Ama la montagna e le moto ed è convinto di saper meglio cucinare che disegnare.
La “reina” ripiena
Maurizio Maggiani
Piccola Venezia
Maurizio Cucchi
venezuela si salva chi può

Un barile per un Petro. Il paradosso dell’algoritmo

È una criptomoneta come il Bitcoin, ma ha un sottostante reale. Più ipotetico - o meglio - stimato, che reale. È basata su un algoritmo come il Bitcoin, ma la sua estrazione non è condivisa ma è decisa, eseguita e regolata da uno stato sovrano e dalla sua Banca centrale. Il Petro - da Petromoneda -, la criptomoneta annunciata in dicembre e «lanciata» lo scorso 20 febbraio dal Venezuela, è però prima di tutto una brillante trovata per cercare una via d’uscita alle sanzioni americane e approvvigionarsi sui mercati mondiali con qualcosa di più presentabile del suo svalutatissimo Bolivar.

Funziona così: a ogni Petro corrisponde un barile di petrolio. Il 20 febbraio è partito il periodo di pre-vendita che è andato avanti per un mese, fino al 20 marzo scorso. L’assegnazione è avvenuta con un sistema di sconti decrescenti in modo da premiare i primi investitori. Nel primo giorno la Banca centrale venezuelana ha raccolto 735 milioni di dollari per 38,9 milioni di Petro venduti. Ovvero, un prezzo del petrolio pari a 19 dollari al barile che è circa un terzo delle valutazioni ufficiali. Ma questo conta poco. Per vedere se e come la nuova moneta si affermerà serve tempo, spiegano gli osservatori.

Il Petro - e questa potrebbe essere la sua vera forza - può essere anche guardato come un contratto finanziario sul petrolio venezuelano, che rappresenta il sottostante, cioè la garanzia, del Petro. Una sorta di futures sulle riserve del paese, un po’ come i contratti sul Wti - la sigla sta per Western Texas Intermediate e indica una particolare qualità di petrolio che è diventata il riferimento per questo tipo di scambi - negoziati a New York o sul Brent - il petrolio del mare del Nord - alla Borsa di Londra. Non c’è la consegna fisica del barile, ma d’altra parte oltre il 90% dei contratti futures sul petrolio scambiati a Londra e New York sono puramente finanziari e meno del 10% arriva alla consegna fisica. Qui c’è qualche complicazione in più, perché le riserve petrolifere sono pur sempre stimate e prima occorre estrarle. Alcuni giacimenti venezuelani hanno costi d’estrazioni elevati e sono convenienti solo oltre una determinata soglia di prezzo, le joint ventures fanno sì che sulle riserve conosciute solo una parte sia (sarà) nella effettiva disponibilità della compagnia nazionale venezuelana e via così. Ma se si dovesse affermare come strumento finanziario prima che come mezzo di pagamento - e sarebbe un bel paradosso dato l’orientamento «anticapitalista» del governo Maduro - sarebbe già un successo.

Con questi dubbi siamo però ancora nel campo dei ragionamenti e della teoria. La pratica è che appena qualche giorno fa l’amministrazione Trump ha vietato ai cittadini americani di effettuare transazioni in Petro. Limitando così di fatto la possibilità per il Venezuela di approvvigionarsi di dollari tramite il Petro e facendo così cadere uno dei presupposti della nascita della criptomoneta nazionale.

Ben più importante della nascita del Petro, per il Venezuela, per gli Usa e per i commerci mondiali è una notizia di qualche mese più vecchia. Ovvero, la pubblicazione da parte del Venezuela dei prezzi del suo petrolio in yuan, la divisa cinese e la decisione del governo di utilizzare lo yuan nei suoi scambi con la Cina e i paesi dell’area d’influenza di Pechino, bypassando il dollaro.

Di certo lanciare una criptomoneta è una soluzione più creativa di quelle tentate finora dai paesi alle prese con spirali iperinflattive. La via «classica» fino all’avvento degli algoritmi era cambiare nome e far finta di ripartire da zero. Il caso di scuola è quello del Brasile, che dal 1972 fino al boom economico degli anni 2000 ha cambiato per ben sette volte il nome della sua moneta senza cambiarne la sostanza, mentre il paese sudamericano si barcamenava tra crisi economiche e instabilità politica. Ma gli algoritmi non c’erano ancora.


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