Matteo Franco - Illustratore e designer editoriale, nato a Roma nel 1988. Ama la montagna e le moto ed è convinto di saper meglio cucinare che disegnare.
Francesco Semprini da New York
Gianluca Paolucci
Maurizio Maggiani
Filippo Femia
Rossana Miranda*
Simona Siri, da New York
Nadia Ferrigo da Caracas
Francesco Semprini
Simon Bolivar
Maurizio Cucchi
Giorgio Arfaras
Noi italiani eravamo i preferiti. Ora i miei figli scappano in Italia
Le tagliatelle se ne stanno ad asciugare sul grande tavolo della cucina, allineate su un asse di legno che poggia su un canovaccio ricamato dalla bisnonna.
Caracas, una casetta monofamigliare, quartiere Las Mercedes, calle Junin. Quando nel 1957 Maria Grazia sbarcò nel Mondo Nuovo, portava con sé due grandi bauli con il corredo preparato da tutte le donne della famiglia. Le lenzuola inamidate e immacolate non hanno resistito agli anni e all’uso, ma i merletti ricamati all’uncinetto sono ancora dappertutto. Sulla credenza ce n’è uno per la fotografia del matrimonio, bianco e nero e sguardo serio, un altro per quelle ormai sbiadite dei figli piccoli al mare e altri più piccini per quelle dai colori accesi dei nipoti. Se non fosse per le finestre alte e strette, protette dalle sbarre, il salotto di Maria Grazia potrebbe essere quello di una classica nonna italiana.
Su Rai international c’è don Matteo
Ora che i figli sono fuori casa, da un paio d’anni il suo amato Antonio non c’è più e i nipoti sono cresciuti e tornati a vivere in Italia, la tv sta sempre accesa su Rai International. «Mi fa compagnia. Sia se guardo l’ennesima replica di don Matteo, che se ascolto il telegiornale. Non mi perdo nulla» sorride Maria Grazia mentre prepara un altro caffè, rigorosamente con la moka anche se con poco zucchero, che di questi tempi è un bene prezioso.
Migrante lei, migranti i suoi nipoti. E meno male che a casa si è sempre parlato italiano. La storia della famiglia Cattaneo è destinata a ripetersi: il viaggio è lo stesso, anche se al contrario. Senza corredo, ma con lo stesso desiderio: scappare dalla miseria e costruire un futuro migliore. «Quando sono arrivata in Venezuela seguendo mio marito e i racconti dei suoi fratelli, non avevo idea di cosa mi aspettasse. Non c’è stato nemmeno il tempo per fermarmi più di tanto a pensare. Lui ha trovato subito lavoro in un pastificio, prima alle macchine poi come responsabile del reparto. Sono nati i bambini, tutto è successo molto in fretta. Non siamo diventati ricchi, ma siamo stati sempre bene. Non ci è mai mancato nulla in questo Paese meraviglioso, dove ora non ho nemmeno i soldi per lo zucchero».
Quasi tutti i pomeriggi Maria Grazia incontra le sue amiche per la messa nella chiesa di Las Mercedes, uno dei quartieri della classe media, un reticolo di villette dai giardini curati. Stringe sempre tra le mani un grosso mazzo di chiavi. C’è il cancello, la doppia porta d’ingresso, un’altra ancora che separa il piano terra dal primo piano, dove stanno le camere da letto. Guai a scordarne una aperta, ché sono entrati in casa già due volte. «Se fossi un po’ più giovane, tornerei in Italia anche io. Ma non ho un posto dove andare. Cosa faccio con la mia pensione in bolivares? Qualche anno fa sono tornata al paesello per un paio di mesi. Ero a casa di mia sorella, ma dopo un po’ l’ospite puzza. Poi fa troppo freddo. A Caracas invece il clima è meraviglioso».
I lampioni sono senza lampadine
Le amiche, italiane pure loro, annuiscono. Sul sagrato dove hanno rubato anche le lampadine dei lampioni e resiste solo una panchina in pietra che non si può portar via in nessun modo, gli argomenti sono sempre gli stessi: il triste destino del Venezuela e che combinano i ragazzi. Nessuna sorpresa da Nuovo Mondo, che loro l’Italia la conoscono fin da piccoli. Quando si tornava a casa per le vacanze a Marina di Camerota erano loro quelli ricchi. Che avevano i videogiochi prima degli altri, le sneakers che in Italia non si trovavano. Che pensavano che le zie mettessero i panni stesi al sole perché non potevano permettersi l’asciugatrice. Maria Grazia e le sue amiche si passano ricordi e smartphone, dove sfilano gli scatti mandati dai ragazzi. Maria Grazia ha due nipoti, Alessandro è in Spagna con la moglie, Erika invece ha scelto l’Italia. Non il lungomare campano, ma la periferia milanese. Ché forse sarà più semplice trovare lavoro. Per ora è a casa, ospite di una zia. «È un’insegnante di musica, ma non è semplice entrare nella scuola italiana. Lo diceva anche il tg» sospira.
Il caffè con la moka
L’arredamento dall’inconfondibile gusto italiano, l’abitudine del primo e del secondo, mai il piatto unico, il caffè con la moka e le chiacchiere da panchina. Tutte le case degli immigrati italiani si somigliano, come l’assoluta fedeltà alla lingua dei cari, che ora torna utile ai nipoti. Nel censimento del 1961 gli italiani erano la comunità straniera più numerosa del Venezuela, raddoppiata dieci anni dopo. Nel 1947 il quotidiano El Universal scriveva che il governo avrebbe dovuto favorire l’immigrazione «facendo sì che entrino nella nostra terra elementi sani e giovani, di preferenza italiani, dato che questi hanno dimostrato una forte affinità con la problematica autoctona, circostanza a cui dobbiamo la prosperità e la fioritura in tutti i sensi conosciuta da molte regioni della Repubblica, poiché si tratta di una razza laboriosa, che proviene da un contesto povero e affine a quelle nostre situazioni che esercitano un grande richiamo, priva di pregiudizi razziali e che, una volta stabilitasi qui, si radica in modo definitivo». «Qualche volta litigo ancora con mio marito, anche se non c’è più. Non ho ancora capito perché abbiamo dovuto lasciare Genova».
Immaginavo un’altra vecchiaia
Nel 1956 Romilda Paturzo, che ha conservato intatto il suo accento genovese, lasciò i suoi genitori per seguire il marito, innamorato del clima benedetto e della ricchezza di Caracas. Quando la nave della Costa Crociere fatalmente battezzata “Amerigo Vespucci” attraccò al porto di La Guardia lei stava a prua, accanto al capitano. Aveva 24 anni e una bimba di otto mesi in braccio, la prima cosa che vide fu un’immensa distesa di baracche arrampicate sulla collina. «Non si preoccupi signora, non è nulla», minimizzò lui. «Io non scendo», ribattè lei. «Mi hanno dovuto trascinare. Che poi, non siamo nemmeno diventati ricchi. Non fosse per la pensione italiana di mio marito, non so davvero come farei». Lei ha tre figli: Spagna, Stati Uniti e Italia. «Non immaginavo così la mia vecchiaia. Ma d’altra parte niente nella mia vita è andato come avrei detto. I miei figli sono ancora giovani, pieni di energia e non hanno paura di nulla. Quando sono partiti, li ho stretti forte. In Venezuela il futuro che avevamo costruito per loro non c’è più. E ora se lo devono conquistare da soli, rifacendo la stessa strada. Al contrario».
[Numero: 119]