Matteo Franco - Illustratore e designer editoriale, nato a Roma nel 1988. Ama la montagna e le moto ed è convinto di saper meglio cucinare che disegnare.
Francesco Semprini da New York
Gianluca Paolucci
Maurizio Maggiani
Filippo Femia
Rossana Miranda*
Simona Siri, da New York
Nadia Ferrigo da Caracas
Francesco Semprini
Simon Bolivar
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Moisés Naím: “A Caracas comanda Cuba, riportare la fiducia è difficile”
«Il Venezuela è comandato a distanza da Cuba, le sorti del suo popolo sono condizionate dal volere de L’Avana. Solo un governo di unità nazionale potrà renderlo libero e fermare la tragedia in atto». È lapidario il giudizio di Moises Naim, ex ministro di Commercio e Industria del Venezuela, e politologo del «Carnegie Endowment for International Peace».
A che punto è la crisi venezuelana?
«Partiamo da alcuni dati oggettivi. L’88% degli ospedali del Paese non ha medicine, materiali e strumentazioni per funzionare, neppure a regimi minimi. La produzione di petrolio è crollata ai minimi record. Le calorie consumate da ogni persona sono una frazione piccolissima di quelle previste dai regolari regimi alimentari. Non ci sono soldi per sfamare la popolazione, e ora c’è una terribile crisi di tubercolosi, fra le altre epidemie. Nella lista dei Paesi più violenti, in termini di omicidi per ogni 100 mila persona, il Venezuela è primo al mondo. Secondo il Fmi il Paese è piegato da iperinflazione, e secondo uno studio dell’Unione europea è l’hub da dove proviene la più grande quantità di droga al mondo. L’altro dato, molto importante, è che ci sono milioni di venezuelani in fuga, l’emergenza rifugiati ha dimensioni disastrose, quattro milioni di persone che hanno abbandonato il proprio Paese, e questo rende la crisi peggiore anche di quella siriana».
Le imminenti elezioni potrebbero portare qualche beneficio?
«Tutti lo dicono, sono una farsa. Caracas non accetta osservatori internazionali, i principali leader dell’opposizione sono in prigione o in esilio, i partiti più importanti sono stati messi fuori gioco, il governo propone le sue stesse alternative per non avere alternative vere».
Sta dicendo che l’esito è scontato?
«Non del tutto. Vincerà Maduro, a meno che il governo cubano, ovvero l’eminenza nemmeno troppo grigia che decide nel Venezuela di oggi, decida che il ruolo di Maduro sia esaurito, come un fusibile bruciato che bisogna sostituire».
Quale sarebbe il nuovo fusibile?
«C’è un candidato che si chiama Henri Falcon, dice di essere un candidato dell’opposizione, ma molti nell’opposizione stessa sospettano che sia un candidato fantoccio, qualcuno che i cubani possono controllare».
Come giudica l’atteggiamento della comunità internazionale dinanzi alla crisi venezuelana?
«I governi vicini sono molto preoccupati per l’invasione di milioni di venezuelani disperati, affamati, alla ricerca di lavoro. Da parte di questi Paesi, come Colombia e Brasile, c’è una mobilitazione concreta per far fronte alla crisi. Ci sono Paesi che danno risposte politiche, mobilitandosi per il rispetto della democrazia, come quelli dell’Ue e gli Stati Uniti. Poi c’è il grande gioco di Russia, Cina e Iran».
A che gioco stanno giocando?
«La Russia all’inizio era un venditore di armi, poi si è convertita in uno stato finanziatore, essenzialmente per farsi ripagare delle commesse belliche acquistate da Chavez. Poi ha fornito aiuto per lo sviluppo del petrolio. È il gioco di Vladimir Putin, ovunque possa infilarsi come spina nel fianco degli Usa lo fa, specie in Venezuela che si trova nel cortile di casa degli Usa. Pechino ha aiutato Caracas comprando petrolio e poi finanziando il governo. Ora ha sospeso gli aiuti perché teme di non recuperare i prestiti, ma vuole comunque rimanere azionista di riferimento di Caracas, anche se in maniera più blanda della Russia. L’Iran ha sviluppato un rapporto molto vicino a Chavez, il Venezuela è un punto operativo strategico per Teheran in America Latina».
Trump ha appena bandito le operazioni con il Petro (la moneta digitale nazionale) e applicato nuove sanzioni: sono misure efficaci?
«Il Petro è una frode, è una nuova forma di indebitamento del governo. Credo che non venga preso sul serio da nessuno. Le misure americane sono più che altro una questione di immagine. Qui a Washington c’è la tendenza a mettere embarghi, sono misure inique, ma il Venezuela si sta asfissiando da solo».
Alcuni rimpiangono Chavez perché dicono che tutto sommato con lui non si stava così male...
«Queste sono congetture da circoli letterari di una certa Europa. Ci troviamo davanti alle conseguenze delle politiche intraprese dall’ex presidente. Non c’è una sola iniziativa nel Paese che sia stata avviata ex novo da Maduro, lui ha proseguito le politiche del predecessore, se possibile, peggiorandone l’attuazione. La gente dice che la crisi è causata dalla caduta del prezzo del petrolio, non è vero perché quando il petrolio era a 100 dollari al barile in Venezuela già scarseggiava la carta igienica. Ci sono molti Paesi che esportano petrolio è hanno avuto uno choc per la caduta dei prezzi, ma nessuno versa in una crisi come quella venezuelana».
Chi può salvare il Venezuela?
«Un governo di unità nazionale capace di creare un consenso diffuso e che abbia la forza di prendere difficili decisioni in campo economico, anche poco popolari, come aumentare la benzina. Occorre spogliare l’immagine di Caracas della patina di ferocia e antipatia che si è data in tutti questi anni, e riportare fiducia per attrarre investimenti, creare posti di lavoro, riportare stabilità e sicurezza».
Se l’Avana lo permetterà?
«Il primo punto infatti è che venga meno il controllo cubano sul Venezuela».
[Numero: 119]